lunedì 24 novembre 2008

USTICA - DC9 ITAVIA FILE

Con strage di Ustica si indica il disastro aereo in cui persero la vita 81 persone nel cielo tra le isole di Ustica e Ponza, venerdì 27 giugno 1980, quando l'aereo di linea I-TIGI Douglas DC-9 appartenente alla compagnia aerea Itavia si squarciò in volo senza preavviso e scomparve in mare.

Dopo quasi trent'anni di inchieste, molti aspetti di questo disastro appaiono ancora poco chiari.



Ricostruzione dell'accaduto

  • Alle 20.08 il volo IH870 diretto da Bologna a Palermo, inizia con due ore di ritardo, e si svolge regolarmente nei tempi e sulla rotta previsti fino all'ultimo contatto radio tra velivolo e controllore procedurale di "Roma Controllo", che avviene alle 20:58.
  • Alle 21.04, chiamato per l'autorizzazione di inizio discesa su Palermo, il volo IH870 non risponde. L'operatore di Roma reitera invano le chiamate; lo fa chiamare, sempre senza ottenere risposta, anche dal volo KM153 dell'Air Malta, che segue sulla stessa rotta, dal radar militare di Marsala e dalla torre di controllo di Palermo. Passa senza notizie anche l'orario di arrivo a destinazione, previsto per le 21.13.
  • Alle 21.25 il comando del Soccorso Aereo di Martina Franca assume la direzione delle operazioni di ricerca, allerta il 15° Stormo a Ciampino, sede degli elicotteri HH-3F del Soccorso Aereo.
  • Alle 21.55 decolla il primo HH-3F e inizia a perlustrare l'area presunta dell'eventuale incidente. L'aereo è ormai disperso.
  • Nella notte numerosi elicotteri, aerei e navi partecipano alle ricerche nella zona. Solo alle prime luci dell'alba viene individuata da un un elicottero HH-3F del Soccorso Aereo alcune decine di miglia a nord di Ustica, una chiazza oleosa. Poco dopo raggiunge la zona un Breguet Atlantique dell'Aeronautica e vengono avvistati i primi relitti e i primi cadaveri. È la conferma che il velivolo è precipitato in quella zona del Tirreno dove la profondità supera i tremila metri.

Il recupero delle vittime

Le vittime del disastro sono ottantuno, di cui tredici bambini, ma si ritrovano e recuperano i corpi di sole trentotto persone.

Sulle salme disposte per l'autopsia furono riscontrati sia "grandi traumatismi" da caduta a livello scheletrico e viscerale sia lesioni enfisematose polmonari da decompressione (l'aereo si era dunque aperto in volo). Nelle perizie gli esperti affermarono che l'instaurarsi degli enfisemi da depressurizzazione precedette cronologicamente tutte le altre lesioni riscontrate ma non causò direttamente il decesso dei passeggeri facendo loro perdere solo conoscenza. La morte sopravvenne soltanto in seguito a causa di fatali traumi riconducibili, assieme alla presenza di schegge e piccole parti metalliche in alcuni dei corpi, a reiterati urti con la struttura dell'aereo in caduta.

Il Flight Data Recorder dell'aereo registra dati di volo assolutamente regolari: prima della sciagura la velocità era di circa 323 nodi, la quota circa 7630 m con prua a 178°, l'accelerazione verticale oscillava senza oltrepassare 1,15 g. Il tranquillo dialogo tra il comandante Domenico Gatti e il copilota che si raccontano barzellette, che ci restituisce il Cockpit Voice Recorder (CVR) è interrotto improvvisamente senza alcun segnale allarmante che preceda la troncatura della registrazione.

Gli ultimi secondi dal CVR:
"Allora siamo a discorsi da fare... [...] Va bene i capelli sono bianchi... È logico... Eh, lunedì intendevamo trovarci ben poche volte, se no... Sporca eh! Allora sentite questa... Gua..."

La registrazione si ferma tagliando l'ultima parola. Questi particolari indicherebbero - è stato ipotizzato - un'improvvisa interruzione dell'alimentazione elettrica e l'evento causa della caduta del DC-9 sarebbe stato, quindi, repentino e inavvertito. Si è ipotizzato che l' ultima parola incompleta del pilota fosse "guarda"; questo potrebbe voler dire che il capitano aveva visto qualcosa di strano.

Le ipotesi

Le principali ipotesi sulle quali gli inquirenti indagano sono:

  • il DC-9 è abbattuto da un missile;
  • collisione/quasi-collisione con un altro velivolo;
  • cedimento strutturale;
  • bomba a bordo.

Le indagini

Al caso Ustica la Magistratura ha dedicato una massa tale di risorse che non trova riscontro in nessun altro caso della storia giudiziaria italiana: venti anni di indagini, migliaia di cartelle di atti per oltre due milioni di pagine e quasi trecento udienze processuali.

Restano incerte le cause del disastro come le eventuali responsabilità.

Le indagini vengono iniziate subito sia dalla Magistratura che dal Ministero dei Trasporti. Aprono un procedimento le Procure di Palermo, Roma e Bologna e il ministro dei trasporti, Rino Formica, nomina una commissione d'inchiesta tecnico-formale che però non conclude mai i suoi compiti, infatti dopo aver presentato due relazioni preliminari si autoscioglie, nel 1982, a causa di insanabili contrasti di attribuzioni con la magistratura.

Dal 1982 l'indagine diviene di fatto esclusiva competenza della magistratura nella persona del giudice Bucarelli. La ricerca delle cause dell'incidente, nei primi anni e senza disporre del relitto, non permette di raggiungere ragionevoli certezze.

Si rinvengono, sui pochi resti disponibili, tracce di esplosivi TNT e T4 in proporzioni compatibili anche con ordigni militari: secondo alcuni analisti i ritrovamenti sarebbero compatibili sia con l'ipotesi del missile, sia con quella della bomba a bordo.



Il recupero del relitto

Nel 1987 il ministro Giuliano Amato dispone il recupero del DC-9.

La profondità di 3700 metri alla quale si trova il relitto rende complesse e costose le operazioni di localizzazione e recupero. Sono pochissime le imprese specializzate che dispongono delle attrezzature e dell'esperienza necessarie: la scelta ricadrà sulla ditta francese Ifremer.

Le difficoltà tecniche, i problemi di finanziamento e le resistenze esercitate da varie delle parti interessate contribuiscono a rimandare il recupero per molti anni.

Buona parte del relitto viene riportato in superficie, mediante due distinte campagne di recupero nel 1987 e nel 1991, e il DC-9 viene recuperato per circa il 96%.

In un hangar dell'aeroporto di Pratica di Mare viene ricomposto il relitto, dove resta a disposizione della Magistratura per le indagini fino al 5 giugno 2006, quando è trasferito e sistemato nel Museo della Memoria, approntato appositamente a Bologna.

Foto particolari DC9


































La Commissione Stragi

Nel 1989 la Commissione Stragi, istituita l'anno precedente e presieduta dal Senatore Gualtieri, delibera di inserire tra le proprie competenze anche le indagini relative all'incidente di Ustica, che diviene pertanto, a tutti gli effetti, la "Strage di Ustica".

L'attività istruttoria della Commissione determina la contestazione di reati a numerosi militari in servizio presso i centri radar di Marsala e Licola.

Le indagini successive

Anche gli inquirenti ipotizzano che il sostanziale fallimento delle indagini sia dovuto a estesi depistaggi e inquinamenti delle prove operati da personale dell'Aeronautica Militare.

Per questa ipotesi investigativa, assieme alle indagini per la ricerca delle cause, si sovrappongono allora le indagini per provare gli inquinamenti ed i depistaggi.

Il registro del radar di Marsala

Durante le indagini si appura che il registro del sito radar di Marsala ha "una pagina strappata" nel giorno della perdita del DC-9. Il pubblico ministero giunge quindi alla conclusione che si sia sottratta la pagina originale del 27 giugno e se ne sia scritta poi nel foglio successivo una diversa versione.

Durante il processo la difesa contesta che la pagina mancante non sarebbe riferita al giorno della tragedia, ma alla notte tra il 25 e il 26 giugno. L'analisi diretta della Corte conclude che la pagina tra il 25 e il 26 sia stata tagliata, come osservato dalla difesa, ma quella che riguarda la sera del 27 giugno è recisa in modo estremamente accurato, così che fosse difficile accorgersene. La numerazione delle pagine non ha invece interruzioni ed è quindi posteriore al taglio.

Interrogato a questo proposito, il sergente in servizio quella sera a Marsala non ha fornito alcuna spiegazione: "Non so cosa dirle".

La difesa ha in seguito riconosciuto che la pagina del 27 giugno era stata effettivamente rimossa dal registro.

Nel 1991, durante la trasmissione "Telefono Giallo" di Corrado Augias, con una telefonata anonima qualcuno dichiara di essere stato "un aviere in servizio a Marsala la sera dell’evento della sciagura del DC9". L'anonimo riferisce che i presenti avrebbero "esaminato le tracce, i dieci minuti di trasmissione di cui parlate, di registrazioni che non sono stati visti nell’intero perché noi li abbiamo visti perfettamente. Soltanto che il giorno dopo, il maresciallo responsabile del servizio ci disse praticamente di farci gli affari nostri e di non avere più seguito in quella questione. [...] la verità è questa: ci fu ordinato di starci zitti!".

In un articolo dal titolo Battaglia aerea poi la tragedia, pubblicato dal quotidiano L'Ora il 12 febbraio 1992, il giornalista Nino Tilotta afferma che il sottufficiale autore della telefonata sarebbe stato in effetti in servizio allo SHAPE di Mons, in Belgio, e che avrebbe detto in trasmissione di essere a Marsala per non farsi riconoscere. Rivelò la sua identità rilasciando l'intervista anni dopo essere andato in pensione in quanto, come affermò, non più vincolato dall'obbligo di mantenere il segreto militare.

Il traffico aereo

Diversi elementi portano gli inquirenti ad indagare sull'eventuale presenza di altri aerei coinvolti nel disastro. Si determinano con certezza alcuni punti:

In generale la zona sud del Tirreno era utilizzata per esercitazioni NATO. Sono state inoltre accertate in quel periodo penetrazioni dello spazio aereo italiano da parte di aerei militari libici. Tali azioni erano dovute alla necessità da parte dell'aeronautica libica di trasferire i vari aerei da combattimento da e per la Jugoslavia, nelle cui basi veniva assicurata la manutenzione ai diversi MiG e Sukhoi di fabbricazione sovietica presenti in gran quantità nell'aviazione del Colonnello Gheddafi.

Il governo italiano, fortemente debitore verso il governo libico dal punto di vista economico (non si dimentichi che dal 1 dicembre 1976 addirittura la FIAT era parzialmente in mani libiche, con una quota azionaria del 13% detenuta dalla finanziaria libica LAFICO) tollerava tali attraversamenti e li mascherava con piani di volo autorizzati per non impensierire gli USA: spesso gli aerei libici si mimetizzavano nella rete radar disponendosi in coda a traffico civile italiano, riuscendo così a non allertare le difese NATO.

Diverse testimonianze, inoltre, descrivono l'area soggetta a improvvisa comparsa di traffico militare USA .

Più specificamente, durante la giornata del 27 giugno 1980, è segnata nei registri dalle 10.30 alle 15.00 l'esercitazione aerea USA "Patricia", ed era poi in corso un'esercitazione italiana h. 24 (cioè della durata di ventiquattro ore) a Capo Teulada, segnalata nei NOTAM.

Due F-104 del 4º Stormo dell'Aeronautica Militare Italiana, di ritorno da una missione di addestramento sull'aeroporto di Verona-Villafranca, mentre effettuavano l'avvicinamento alla base aerea di Grosseto, si trovarono in prossimità del DC-9 Itavia. Uno era un F-104 monoposto con un allievo ai comandi, l'altro, un TF-104G (biposto) ospitava gli istruttori, i comandanti Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Alle ore 20,24, all'altezza di Firenze-Peretola il biposto di Naldini e Nutarelli, mentre era ancora in prossimità dell'aereo civile, emise un segnale di allarme alla Difesa Aerea, codice 73, sempre su questa THR il SOS SIF risulta = 2 = emergenza confermata, e la colonna blink=1 attesta che sulla consolle degli operatori si è accesa la spia di alert. I significati di tali codici, smentiti o sminuiti di importanza da esperti dell'AM sentiti in qualità di testi, sono stati invece confermati in sede della "Commissione ad hoc" della NATO da esperti dell'NPC (NATO Programming Center). Scrivono infatti costoro nel loro rapporto del 10 marzo 97: "Varie volte è stato dichiarato lo stato di emergenza confermata relativa alla traccia LL464/LG403 sulla base del codice SIF1 73, che all'epoca del disastro veniva usato come indicazione di emergenza. La traccia ha attraversato la traiettoria del volo del DC9 alle 18.26 ed è stata registrata per l'ultima volta nei pressi della base aerea di Grosseto alle 18.39". L'aereo ripeté per ben tre volte la procedura di allerta, a conferma inequivocabile dell’emergenza. Né l'Aeronautica Militare né la NATO hanno ancora chiarito le ragioni di quell'allarme.

Durante la sera, tra le ore 20.00 e le 24.00 locali, sono testimoniati diversi voli nell'area di aerei militari non appartenenti all'Aeronautica Italiana: un quadrireattore E-3A Sentry, più noto come AWACS o aereo radar, che orbitava da oltre due ore a 50 km da Grosseto, in direzione nord ovest, un CT-39G Sabreliner, un jet Executive militare, e vari P3 Orion, pattugliatori marini, partiti dalla Sigonella, un Lockheed C-141 Starlifter, quadrireattore da trasporto strategico, in transito lungo la costa tirrenica, diretto a sud.

Inoltre, segnalazione sostenuta da molte fonti, in quei giorni, ed anche quella sera, alcuni bombardieri F-111 dell'USAF, basati a Lakenheath (Suffolk, Gran Bretagna) si stavano trasferendo verso l'Egitto, all'aeroporto di Cairo West, lungo una rotta che attraversava la penisola italiana in prossimità della costa tirrenica, con l'appoggio di aerei da trasporto strategico C-141 Starlifter. Gli aerei facevano parte di un ponte aereo, in atto da diversi giorni, che aveva lo scopo di stringere una cooperazione sempre più stretta con l'Egitto e ridurre la Libia, con la quale vigeva uno stato di crisi aperta sin dal 1973, a più miti consigli.

Intensa e insolita attività di volo fino a tarda sera è testimoniata presso la base aerea di Solenzara, in Corsica, che ospitava vari stormi dell'Armée de l'air francesi.

Successivamente, all'inizio dell'agosto 1980, oltre a vari relitti, vengono ritrovati in mare anche due salvagenti e un casco di volo della marina americana; a settembre presso Messina si rinvengono frammenti di aerei bersaglio italiani, che sembrano però risalenti a esercitazioni terminate nel gennaio dello stesso anno.

Questi dati evidenziano che nell'area tirrenica, in quel periodo del 1980, si svolgeva un'intensa attività militare. Inoltre, benché nessuno di questi fatti, se presi singolarmente, appaia in relazione diretta con la caduta del DC-9, si è da alcuni notata la coincidenza temporale dell'allarme degli F-104 italiani su Firenze al momento del passaggio del DC-9, dell'esistenza di tracce radar non programmate che transitano ad oltre 600 nodi in prossimità dell'Aereo civile, della pluritestimonianza dell'inseguimento tra aerei da caccia sulla costa calabra ed infine delle attività di ricerca in una zona a 20 miglia ad est del punto di caduta, effettuate da velivoli non appartenenti al Soccorso aereo Italiano.

Il MiG-23

Una conferma che, in quel periodo, si verificavano sull'Italia voli di aerei militari stranieri si ebbe dal ritrovamento di un aereo MiG-23MS con i colori dell'Aeronautica Militare libica precipitato a Castelsilano, nella Sila crotonese. L'Aeronautica Militare italiana, dopo aver lavorato in una commissione relativa al caso insieme ai libici, dichiarò che questo aereo sarebbe decollato dalla Libia e che, in seguito ad un malore del pilota, avrebbe proseguito il volo con il pilota automatico - quindi a quota livellata ed elevata - sino a precipitare sul territorio italiano, per esaurimento carburante, venerdì 18 luglio, ossia venti giorni dopo il DC9.

Nella Sentenza Ordinanza del giudice Priore tale versione, tuttavia, appare essere contrastata da alcune circostanze che avrebbero potuto retrodatare la caduta del velivolo libico, ponendola a ridosso immediato della tragedia del DC9: tra queste le dichiarazioni sullo stato di decomposizione della salma del pilota, che i periti prof. Zurlo e Rondanelli definirono "avanzatissimo", oltre a diverse testimonianze, raccolte sul luogo e nelle aree limitrofe, che riportavano l'evento ad una data prossima o coincidente con la scomparsa del volo Itavia.

Un'ulteriore indagine tecnica, relativa al meteo del 18 luglio ed alle caratteristiche di funzionamento del pilota automatico del MiG-23, concluse che il velivolo sarebbe dovuto cadere più ad ovest e ben prima di raggiungere le coste calabresi. Tra l'altro, in piena contraddizione con le dichiarazioni dell'Aeronautica Militare italiana, esiste una missiva datata 9 dicembre 88 in cui lo Stato Maggiore della Difesa, dopo aver interessato le tre Forze Armate ed ottenuto le risposte ai quesiti richiesti, riferiva che: "il 18 luglio 80 l'area di competenza del 3° ROC di Martina Franca si era interessata ad una esercitazione NATO “Natinad - Demon Jam V” svoltasi dalle ore 8 alle ore 11 (l'esercitazione si tenne dal 15 al 18 luglio). L'esercitazione prevedeva l'impiego di velivoli che simulavano operazioni di penetrazione verso il territorio nazionale in presenza di disturbo elettronico e contro i quali intervenivano i velivoli intercettori. Nessun inconveniente si verificò nel corso dell'esercitazione." La conferma dell'esercitazione in corso il 18 luglio 1980 ed il conseguente stato di allerta che ne derivava, sia della rete radar che degli intercettori in volo, rende ancora più incompatibile la "penetrazione non identificata di un velivolo estraneo" nell'area, in quella data, nelle modalità descritte (pilota svenuto quindi volo rettilineo, alta quota quindi altamente visibile da tutti i radar, etc).

I nastri telefonici e le testimonianze in aula


« Allora io chiamo l'ambasciata, chiedo dell'attaché... eh, senti, guarda: una delle cose più probabili è la collisione in volo con uno dei loro aerei, secondo me, quindi... »

(27 giugno 1980, ore 22.39 locali. Dalla telefonata all'ambasciata USA)

Nel 1991 gli inquirenti entrano in possesso di una piccola parte dei nastri delle comunicazioni telefoniche fatte quella notte e la mattina seguente. La maggior parte è andata perduta: riutilizzata sovraincidendo le registrazioni.

Dall'analisi dei dialoghi si rileva che la prima ipotesi fatta dagli ufficiali dell'AM fu la collisione e che in tal senso intrapresero azioni di ricerca di informazioni presso vari siti dell'Aeronautica e presso l'ambasciata USA a Roma. Più volte si parla di aerei americani che "razzolano", di esercitazioni, di collisione ed esplosione, di come ottenere notizie certe al riguardo.

Tutto il personale che partecipa alle telefonate viene identificato tramite riconoscimenti e incrocio di informazioni. Si ammette per la prima volta di aver contattato l'ambasciata USA o di aver parlato di "traffico americano" solo dopo il rinvenimento dei nastri, prima era sempre stato negato. Le spiegazioni fornite dagli interessati durante deposizioni e interrogatori contrastano comunque con il contenuto delle registrazioni o con precedenti deposizioni.

  • Udienza del 21 febbraio 2001: PM- "Furono fatte delle ipotesi sulla perdita del DC-9 in relazione alle quali era necessario contattare l'ambasciata americana?"
    Chiarotti - "Assolutamente no, per quello che mi riguardi [...] La telefonata fu fatta per chiedere se avessero qualche notizia di qualsiasi genere che interessasse il volo dell'Itavia, [...]"
  • Udienza del 7 febbraio 2001: capitano Grasselli- "Normalmente chiamavamo l'ambasciata americana per conoscere che fine avevano fatto dei loro aerei di cui perdevamo il contatto. Non penso però che quella sera la telefonata all'ambasciata americana fu fatta per sapere se si erano persi un aereo. Ho ritenuto la telefonata un'iniziativa goliardica in quanto tra i compiti del supervisore non c'è quello di chiamare l'ambasciata [..]".
  • Deposizione del 31 gennaio 1992 del colonnello Guidi:- "Ho un ricordo labilissimo anzi inesistente di quella serata. Nessuno in sala operativa parlava di traffico americano, che io ricordi. [...]" "[...] pensando che l'aeromobile avesse tentato un ammaraggio di fortuna, cercavamo l'aiuto degli americani per ricercare e salvare i superstiti."

Una volta fatta ascoltare in aula la telefonata all'ambasciata, Guidi afferma di non riconoscere la propria voce nella registrazione e ribadisce che non ha ricordo della telefonata.

Nel 1991 affermava: -"Quella sera non si fece l'ipotesi della collisione." E ancora "Non mi risulta che qualcuno mi abbia parlato di intenso traffico militare [...]. Se fossi stato informato di una circostanza come quella dell'intenso traffico militare avrei dovuto informare nella linea operativa l'Itav, nella persona del capo del II Reparto ovvero Fiorito De Falco."

Nel nastro di una telefonata delle 22.23 Guidi informa espressamente il suo diretto superiore colonnello Fiorito De Falco sia del traffico americano, sia di un'ipotesi di collisione, sia del contatto che si cerca di stabilire con le forze USA.

Ma nella deposizione dell'ottobre 1991 anche il gen. Fiorito De Falco afferma- "[...] Guidi non mi riferì di un intenso traffico militare."

Le contraddizioni

Il giorno dopo il disastro, alle 12,10, una telefonata al “Corriere della Sera” annunciò a nome dei NAR, un gruppo armato di estrema destra, i terroristi neofascisti, che l'aereo era stato fatto esplodere con una bomba da loro posta nella toilette[senza fonte], da uno dei passeggeri: tal Marco Affatigato (ma imbarcato sotto falso nome), membro dei NAR che - invece - era in quei mesi al servizio dell'inteligence francese e che nel Settembre dello stesso anno, rientrato in Italia, venne rinchiuso nel carcere di Ferrara. Affatigato, però, sconfessò rapidamente la telefonata: per rassicurare la madre chiese alle Digos di Palermo e di Lucca di smentire la notizia della sua presenza a bordo dell’aereo precipitato.

Circa un mese dopo, avvenne la Strage di Bologna ed anche in questo caso ci fu la rivendicazione dei NAR. In entrambi i casi, Bologna era la città in cui avevano colpito i NAR ed in ambo i casi Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, ai vertici del gruppo terrorista, smentirono un coinvolgimento dell'organizzazione negli eventi, come la smentì il colonnello Amos Spiazzi dopo aver conosciuto in carcere Marco Affatigato. C'è, quindi, chi ipotizza un depistaggio nel depistaggio, ovvero che la strage di Bologna sia servita ad avvalorare la tesi della bomba dei NAR collocata all'interno dell'aereo[24]. La tesi della bomba dividerà anche i periti incaricati dal giudice Rosario Priore di analizzare i resti ripescati dal fondale marino: un primo momento li vede concordi all'unisono circa il missile; successivamente, due dei cinque tecnici cambierà versione a favore della bomba. Alle 20,58 di quella sera, un dialogo registrato tra due operatori radar a Marsala si svolge dicendo: "... Sta' a vedere che quello mette la freccia e sorpassa !", ed anche: "Quello ha fatto un salto da canguro !". Alle 22.04, a Grosseto gli operatori radar non s'accorgono che il contatto radio con Ciampino è rimasto aperto e che le loro voci vengono registrate: "... Qui, poi... il Governo, quando sono americani...."; quindi:"Tu, poi... che cascasse..."; "È cascato in volo !". Alle 22.05, al centro radar di Ciampino, parlando dell'omologo di Siracusa: "...Stavano razzolando degli aerei americani... Io stavo pure ipotizzando una collisione in volo". Ed anche: "Sì, od un'esplosione in volo !".

Le morti sospette


« La maggior parte dei decessi che molti hanno definito sospetti, di sospetto non hanno alcunchè. Nei casi che restano si dovrà approfondire [...] giacchè appare sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati. »

(sentenza ordinanza, Capo 2, p. 4674)

Per due dei 12 casi di decessi sospetti permangono indizi di relazione al "caso Ustica":

  • Maresciallo Mario Alberto Dettori: trovato impiccato il 31 marzo 1987 in un modo definito dalla Polizia Scientifica "innaturale", presso Grosseto. Mesi prima, preoccupato, aveva rovistato in tutta la casa alla ricerca di fantomatiche microspie. Vi sono indizi che fosse in servizio la sera del disastro, che avesse in seguito sofferto di manie di persecuzione relativamente a tali eventi. Confidò alla moglie: "Sono molto scosso... Qui è successo un casino... Qui vanno tutti in galera !". Il giudice Priore conclude: "Sui singoli fatti come sulla loro concatenazione non si raggiunge però il grado della prova."
  • Maresciallo Franco Parisi: trovato impiccato il 21 dicembre 1995, era di turno la mattina del 18 luglio 1980, data ufficiale dell'incidente del MiG libico sulla Sila. Proprio riguardo alla vicenda del MiG erano emerse durante il suo primo esame testimoniale palesi contraddizioni; citato a ricomparire in tribunale, muore pochi giorni dopo aver ricevuto la convocazione. Non c'è prova di omicidio.

Gli altri casi presi in esame nell'inchiesta:

  • Colonnello Pierangelo Tedoldi: incidente stradale il 3 agosto 1980, avrebbe in seguito assunto il comando dell'aeroporto di Grosseto ma oltre a ciò non vi sono collegamenti con i fatti di Ustica.
  • Capitano Maurizio Gari: infarto, 9 maggio 1981, capo controllore di sala operativa della Difesa Aerea presso il 21° CRAM di Poggio Ballone, era in servizio la sera della strage. Dalle registrazioni telefoniche si evince un particolare interessamento del capitano per la questione del DC-9 e la sua testimonianza sarebbe stata certo "di grande utilità all'inchiesta" visto il ruolo ricoperto dalla sala sotto il suo comando nella quale, peraltro, era molto probabilmente in servizio il maresciallo Dettori. Non si ritrova però alcun collegamento fra ciò e la causa della morte che appare naturale, nonostante la giovane età.
  • Giovanni Battista Finetti, Sindaco di Grosseto : incidente stradale, 23 gennaio 1983. Era opinione corrente che avesse informazioni su fatti avvenuti la sera dell'incidente del DC-9 all'aeroporto di Grosseto. L'incidente in cui perde la vita appare del tutto casuale.
  • Maresciallo Ugo Zammarelli: incidente stradale, 12 agosto 1988. Era stato in servizio presso il SIOS di Cagliari ma non sono emersi indizi che fosse a conoscenza di informazioni circa la strage o la caduta del MiG libico.
  • Colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli: Incidente di Ramstein, 28 agosto 1988. In servizio presso l'aeroporto di Grosseto all'epoca dei fatti, la sera del 27 giugno erano in volo su uno degli F-104 che lanciarono l'allarme di emergenza generale. Erano certamente a conoscenza di fatti inerenti il volo Itavia. La loro testimonianza sarebbe stata utile anche in relazione agli interrogatori del loro allievo in volo quella sera sull'altro F-104, durante i quali è "apparso sempre terrorizzato".Viene giudicato poco credibile e sproporzianato organizzare un simile incidente, con esito incerto, per eliminare due testimoni.
  • Maresciallo Antonio Muzio: omicidio, 1° febbraio 1991, in servizio alla torre di controllo all'aeroporto di Lamezia Terme nel 1980, poteva forse essere venuto a conoscenza di notizie sul MiG libico, ma non è emerso alcun elemento in tal senso.
  • Tenente colonnello Sandro Marcucci: incidente aereo, 2 febbraio 1992. Non è emerso alcun elemento in connessione con la tragedia di Ustica, a parte le dichiarazioni di un testimone.
  • Maresciallo Antonio Pagliara: incidente stradale, 2 febbraio 1992. In servizio come controllore della Difesa Aerea presso il 32° CRAM di Otranto, dove avrebbe potuto avere informazioni sulla faccenda del MiG. Le indagini concludono per la casualità dell'incidente.
  • Generale Roberto Boemio: omicidio, 12 gennaio 1993 a Bruxelles. Da sue precedenti dichiarazioni durante l'inchiesta appare chiaro che la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità sia per determinare gli eventi inerenti il DC-9, sia per quelli inerenti il MiG libico. La magistratura belga non ha risolto il caso, non emergono comunque elementi che possano legare il suo omicidio con la strage di Ustica.
  • Maggiore medico Gian Paolo Totaro: trovato impiccato ad un'altezza di poco superiore al metro il 2 novembre 1994. Le indagini partono dalla strana modalità di impiccagione ma si concludono con sufficiente sicurezza determinando l'azione suicida e la mancanza di ogni legame con i fatti del volo Itavia.

La Sentenza-Ordinanza Priore

Sull'analisi del complesso scenario si muove il procedimento penale Nr 527 84 A GI, meglio conosciuto come Inchiesta Priore.

Nonostante le lunghe indagini, il recupero di parte consistente del relitto, le centinaia di perizie tecniche e le ingenti risorse finanziarie ed umane dedicate alle indagini, si rinvengono numerosi e gravi indizi, ma non prove definitive per individuare gli autori del disastro.

Le indagini si concludono il 31 agosto 1999 con il deposito della Sentenza-ordinanza Priore, secondo la quale il DC-9 Itavia è precipitato perché coinvolto, direttamente o indirettamente, in uno scenario di battaglia aerea avvenuto nei cieli italiani. L'inchiesta - vi si legge - è stata ostacolata da reticenze e false testimonianze, sia nell'ambito dell'Aeronautica Italiana che della NATO, che hanno avuto l'effetto di inquinare o nascondere informazioni su quanto accaduto.

La sentenza-ordinanza conclude:

"L'incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento, il DC9 è stato abbattuto, è stata spezzata la vita a 81 cittadini innocenti con un'azione, che è stata propriamente atto di guerra, guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti."

Nella ricostruzione degli eventi, secondo le conclusioni del giudice Priore, le cause più probabili del disastro sarebbero da ricercarsi tra l'impatto di un missile, una collisione con un altro velivolo o al limite in una "quasi collisione" - un evento consistente in un passaggio di un velivolo ad alta velocità vicinissimo al DC-9, che ne avrebbe scomposto l'assetto di volo, provocando un sovraccarico tale da causarne la destrutturazione e la caduta. Questa teoria è in origine formulata dai prof. Dalle Mese e Casarosa, due dei periti di ufficio. L'ipotesi di "quasi collisione", evento inedito mai accaduto nella casistica mondiale degli incidenti aerei, viene aspramente criticata da vasta parte del mondo scientifico aeronautico, che la ritiene nella pratica "sommamente improbabile pur se non impossibile" su un piano esclusivamente teorico. Tuttavia la perizia metallografica dei professori Donato Firrao (Politecnico di Torino), Sergio Reale (Università di Firenze) e Roberto Roberti (Università di Brescia) ha escluso che sia avvenuta un'esplosione, sia internamente (bomba) che esternamente (mancano segni di schegge del missile).

Le tracce di esplosivi rinvenute sui reperti possono essere spiegate o dall'esplosione di un missile (a prevalente effetto "blast" e trascurabile produzione di schegge) o dalla temporanea custodia degli oggetti recuperati in mare in locali di navi militari in cui erano stati precedentemente collocati materiali esplosivi (la camera siluri). Le tracce rinvenute in seguito in tali locali non erano però di tale entità da giustificare una contaminazione, che rimane una possibiltà non provata.

Nella Sentenza-ordinanza viene dedicato anche un ampio spazio al MiG-23MS libico ritrovato a Castelsilano, ufficialmente, il 18 luglio 1980. Secondo l'ipotesi inquirente, alcuni fatti, testimonianze e documenti mettono in dubbio la data di caduta del 18 luglio e fanno ipotizzare un collegamento con la caduta del DC-9.

I responsabili materiali della strage non possono, al momento, essere individuati e il procedimento penale Nr 527 84 A GI dichiara "il non doversi procedere in ordine al delitto di strage perché ignoti gli autori del reato".

L'inchiesta non è priva di ulteriori strascichi giudiziari. Diversi i militari italiani che vengono considerati penalmente responsabili, non per la caduta del DC-9, per le quali non sono attribuite responsabilità all'Aeronautica italiana, ma per il comportamento successivo al disastro. Molti i reati contestati, tra cui: falso ideologico, abuso d'ufficio, falsa testimonianza, favoreggiamento, falso, dispersione di documenti. Per il vertice dell'Aeronautica del tempo furono rinviati a giudizio i generali Bartolucci e Ferri e i generali Melillo e Tascio ; si aggiunge un'ulteriore ipotesi di reato: alto tradimento, per aver impedito, tramite la comunicazione di informazioni errate, l'esercizio delle funzioni del governo.

Il processo in Corte di Assise sui presunti depistaggi

Il 28 settembre 2000, nell'appositamente attrezzata aula-bunker di Rebibbia, inizia il processo sui presunti depistaggi, davanti alla terza sezione della Corte di Assise di Roma.

Dopo 272 udienze e dopo aver ascoltato migliaia tra testimoni, consulenti e periti, il 30 aprile 2004, la corte assolve dall'imputazione di alto tradimento - per aver gli imputati turbato (e non impedito) le funzioni di governo - i generali Corrado Melillo e Zeno Tascio "per non aver commesso il fatto". I generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri vengono invece ritenuti colpevoli ma, essendo ormai passati più di 15 anni, il reato è caduto in prescrizione.

Anche per molte imputazioni relative ad altri militari dell'Aeronautica (falsa testimonianza, favoreggiamento, ecc.) viene dichiarata la prescrizione. Il reato di abuso d'ufficio, invece, non sussiste più per modifiche successive alla legge.

La sentenza non soddisfa né gli imputati Bartolucci e Ferri, né la Procura, né le parti civili. Tutti, infatti, presentano ricorso in appello.

Il processo in Corte di Assise di Appello sui depistaggi

Anche il processo davanti alla Corte di Assise di Appello di Roma, aperto il 3 novembre 2005, si chiude il successivo 15 dicembre con l'assoluzione dei generali Bartolucci e Ferri dalla imputazione loro ascritta perché "il fatto non sussiste".

La Corte rileva infatti che non vi sono prove a sostegno dell'accusa di "alto tradimento".

Le analisi condotte nella perizia radaristica Dalle Mese sono state eseguite con "sistemi del tutto nuovi e sconosciuti nel periodo giugno-dicembre 1980" e pertanto non possono essere prese in considerazione per giudicare di quali informazioni disponessero, all'epoca dei fatti, gli imputati. In ogni caso la presenza di altri aerei deducibile dai tracciati radar non raggiunge in alcuna analisi il valore di certezza e quindi di prova. Non vi è poi prova che gli imputati abbiano ricevuto notizia della presenza di aerei sconosciuti o USA collegabili alla caduta del DC-9.

La Corte rileva inoltre che l'informativa trasmessa dagli imputati al governo non risulta errata: i radar militari di Licola, Marsala e Siracusa non rilevano alcun traffico sconosciuto , come invece si può dedurre dai tracciati radar di Ciampino, che non è citato nell'informativa. Quindi viene ritenuta corretta l'affermazione che i radar militari "non confermano" (che non equivale ad "esclude") traffico sconosciuto.

L'unica informazione errata è relativa all'interruzione dei nastri di Marsala "effettuata da un operatore per dimostrare la procedura di cambio del nastro" quando invece i motivi sono da individuare nell'inizio di una esercitazione simulata circa 4 minuti dopo il disastro; errore privo di rilevanza ai fini processuali.

Le reazioni alla sentenza

La sentenza provoca subito accese critiche da parte delle Parti Civili. La senatrice Daria Bonfietti, sorella di una delle vittime e Presidente della Associazione "Parenti delle Vittime della Strage di Ustica", in una conferenza stampa definisce la sentenza "una vergogna".

Nelle motivazioni della sentenza, pubblicate il 6 aprile 2006, alla pagina 48, la Corte (fatto inusuale) raccoglie la provocazione e replica a questa accusa:

"A differenza delle altre parti processuali che hanno accettato comunque la decisione di questa corte, qualche familiare delle vittime ha definito una vergogna l'assoluzione (v. La repubblica del 16 dicembre 2005 p.30) oppure ha accusato la Magistratura di non aver voluto accertare fino in fondo la responsabilità dell'accaduto. La Corte era ben conscia dell'impatto negativo di una ulteriore sentenza assolutoria anche nei confronti dei due generali, ma a fronte di commettere una ingiustizia, perché tale sarebbe stata la conferma della sentenza o una condanna, andare contro l'opinione pubblica non costituisce un ostacolo. In quel caso, allora, si sarebbe trattato di una vergogna perché si sarebbero condannati o ritenuti responsabili di un reato persone nei cui confronti vi era un difetto assoluto di prova."

Il ricorso in Cassazione

La Procura Generale di Roma propone ricorso per cassazione chiedendo l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello del 15 dicembre 2005, e come effetto dichiarare che "il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato" anziché "perché il fatto non sussiste". La legge inerente l'alto tradimento è stata infatti modificata con decreto riguardante i reati d'opinione .

La differenza tra le due formule è rilevante. Immediatamente è stato evidenziato che l'assoluzione con la formula "perché il fatto non sussiste" indica che nel caso esaminato non c'è alcuna prova che gli imputati abbiano compiuto azioni tendenti a ostacolare, turbare o impedire le azioni del governo, e che quindi non hanno commesso i fatti per cui hanno dovuto rispondere in giudizio. L'annullamento della sentenza di appello perché "il fatto contestato non è più previsto dalla legge come reato" significa invece non escludere che gli imputati abbiano commesso i fatti per cui sono giudicati: solo la prima delle due formule, insomma, vale a dichiarare l'insussistenza originaria di ogni fatto-reato.

Il 10 gennaio 2007 la prima sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta da Torquato Gemelli, conferma la sentenza pronunciata nel dicembre del 2005 dalla corte d'Assise d'appello di Roma, dichiarando inammissibile il ricorso presentato dalla Procura Generale di Roma e rigettando quello dell'Avvocatura dello Stato, che rappresentava la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il ministero della Difesa, costituitisi parte civile.

Nelle motivazioni della sentenza viene ribadita l'interpretazione che occorre dare all'assoluzione ai sensi dell'articolo 530 comma 2 c.p.p. con la formula “perché il fatto non sussiste” pronunciata dalla corte di Assise. L'opinione delle parti civili tende ad interpretare l'assoluzione degli imputati come non completa.

In pratica è convinzione comune che la "battaglia aerea" vi sia stata davvero e che gli imputati - per la posizione ricoperta all'epoca - non potessero non sapere; che abbiano effettivamente commesso i fatti loro contestati e che siano assolti semplicemente perché non sono state raccolte prove sufficienti per condannarli.

Le dichiarazioni di Cossiga

A ventotto anni dalla strage la procura di Roma ha deciso di aprire una nuova inchiesta a seguito delle dichiarazioni rilasciate nel febbraio 2007 da Francesco Cossiga. L'ex presidente della Repubblica aveva dichiarato che ad abbattere il DC9 è stato un missile "a risonanza e non a impatto" lanciato da un aereo della marina militare francese e che furono i servizi segreti italiani a informare lui e l'allora ministro dell'Interno Giuliano Amato dell'accaduto.

Versioni alternative

In un allegato uscito in fascicoli del settimanale di destra L'Italia Settimanale nel corso del 1994 intitolato Storia della prima Repubblica viene fornita una particolare ipotesi sulla strage. Prima di tutto viene accomunata alla strage di Bologna (che viene definita letteralmente il "bis" di Ustica); poi viene paragonata al caso di Enrico Mattei e al Caso Moro. Il testo prosegue con


« L'Italia dalla nascita della prima Repubblica è stata, come tutti sanno, un paese a sovranità limitata (...) ora, nel momento in cui, per questioni contingenti (...) ha fatto - raramente - scelte che si sono rivelate in contrasto con le alleanze di cui vi dicevo, ha compiuto, detto in termini politico-mafioso-diplomatici, uno "sgarro". E come nella mafia quando un picciotto sbaglia finisce in qualche pilone di cemento o viene privato di qualche parente (in gergo si chiama "vendetta trasversale"). Così è fra gli Stati: quando qualche paese sbaglia, non gli si dichiara guerra; ma gli si manda un "avvertimento", sotto forma di bomba, che esplode in una piazza, su di un treno, su una nave, ecc ecc »


Elenco delle vittime

In grassetto l'equipaggio

  • Cinzia Andres
  • Luigi Andres
  • Francesco Baiamonte
  • Paola Bonati
  • Alberto Bonfietti
  • Alberto Bosco
  • Maria Vincenza Calderone
  • Giuseppe Cammarota
  • Arnaldo Campanini
  • Antonio Candia
  • Antonella Cappellini
  • Giovanni Cerami
  • Maria Grazia Croce
  • Francesca D'Alfonso
  • Salvatore D'Alfonso
  • Sebastiano D'Alfonso
  • Michele Davì
  • Giuseppe Calogero De Ciccio
  • Secondo assistente di volo Rosa De Dominicis
  • Elvira De Lisi
  • Francesco Di Natale
  • Antonella Diodato
  • Giuseppe Diodato
  • Vincenzo Diodato
  • Giacomo Filippi
  • Primo ufficiale Enzo Fontana
  • Vito Fontana
  • Carmela Fullone
  • Rosario Fullone
  • Vito Gallo
  • Com.te Domenico Gatti
  • Guelfo Gherardi
  • Antonino Greco
  • Martha Gruber
  • Andrea Guarano
  • Vincenzo Guardi
  • Giacomo Guerino
  • Graziella Guerra
  • Rita Guzzo
  • Giuseppe Lachina
  • Gaetano La Rocca
  • Paolo Licata
  • Maria Rosaria Liotta
  • Francesca Lupo
  • Giovanna Lupo
  • Giuseppe Manitta
  • Claudio Marchese
  • Daniela Marfisi
  • Tiziana Marfisi
  • Erica Mazzel
  • Rita Mazzel
  • Maria Assunta Mignani
  • Annino Molteni
  • Primo assistente di volo Paolo Morici
  • Guglielmo Norritto
  • Lorenzo Ongari
  • Paola Papi
  • Alessandra Parisi
  • Carlo Parrinello
  • Francesca Parrinello
  • Anna Paola Pelliccioni
  • Antonella Pinocchio
  • Giovanni Pinocchio
  • Gaetano Prestileo
  • Andrea Reina
  • Giulia Reina
  • Costanzo Ronchini
  • Marianna Siracusa
  • Maria Elena Speciale
  • Giuliana Superchi
  • Antonio Torres
  • Giulia Maria Concetta Tripiciano
  • Pierpaolo Ugolini
  • Daniela Valentini
  • Giuseppe Valenza
  • Massimo Venturi
  • Marco Volanti
  • Maria Volpe
  • Alessandro Zanetti
  • Emanuele Zanetti
  • Nicola Zanetti












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